Sardegna

Situata nel Mediterraneo occidentale, la Sardegna è stata sin dagli albori della civiltà un attracco assiduamente frequentato da quanti navigavano da una sponda all'altra del Mediterraneo in cerca di materie prime e di nuovi sbocchi commerciali.

Menhir

Dei monoliti di forma allungata di grandi dimensioni conficcati verticalmente nel terreno e spesso organizzati in lunghi allineamenti o distribuiti in singoli elementi. In lingua sarda vengono comunemente chiamati "perdas litteradas", ovvero "pietre letterate".

Nuraghe

Il nuraghe è un tipo di costruzione in pietra di forma tronco conica presente con diversa densità su tutto il territorio della Sardegna. Sono unici nel loro genere e rappresentativi della civiltà nuragica.

Civiltà Nuragica

La Civiltà nuragica ebbe origine durante la fase culturale detta di Bonnanaro (1800-1600 a.C. circa), imparentata con la precedente cultura del vaso campaniforme e con quella di Polada, e secondo le ricerche degli studiosi fu il frutto dell'evoluzione delle preesistenti culture megalitiche.

Domus de janas

Le domus de janas sono delle strutture sepolcrali preistoriche costituite da tombe scavate nella roccia tipiche della Sardegna prenuragica. Si trovano sia isolate che in grandi concentrazioni costituite anche da più di 40 tombe. A partire dal Neolitico recente fino all'Età del Bronzo antico, queste strutture caratterizzarono tutte le zone dell'isola.

giovedì 27 settembre 2018

Cascate Pitrisconi

IL fiume nasce alle pendici settentrionali del massiccio del Monte Nieddu (970 mt),dà il nome all’omonimo cantiere forestale (cantiere forestale Pitrisconi), facente parte della Riserva Naturale del Monte Nieddu: un area ricca di boschi, pareti granitiche, sorgenti, cascate e sentieri da esplorare, in cui incontrare rare specie di avifauna (tra cui esemplari di aquila reale e falco pellegrino) e fauna terrestre.
 Per raggiungerla da Olbia, basta percorrere la SS125 in direzione San Teodoro-Siniscola, arrivare a Budditogliu e proseguire per via Aresula. Di qui, seguire le indicazioni per Fonte acqua Aresula e continuare sulla strada bianca dopo il cavalcavia fino a Stazzu Pitrisconi.
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lunedì 17 settembre 2018

Baunei


Baunei  3.614 abitanti della provincia di Nuoro nella subregione dell'Ogliastra nella Sardegna centro orientale.

Territorio

Il territorio di Baunei, punteggiato quasi ovunque da rocce calcaree, si distende nel tratto centro-orientale della Sardegna, nella provincia di Nuoro, un'area di cui rappresenta storicamente e geograficamente il confine a nord dell'Ogliastra, a ridosso di Codula Elune, un'area incontaminata che sfocia nell'omonima cala, più nota ai turisti come cala Luna.
L'agglomerato più importante di Baunei si allunga su un costone calcareo esposto a sud-ovest, suddiviso dalla S.S. 125 (la cosiddetta "Orientale Sarda") che lo connette al quartiere di monte Colcau. A una distanza di 8 km si affaccia sul golfo di Arbatax la frazione di Santa Maria Navarrese, confinante con il borgo di Tancau sul Mare, frazione di Lotzorai.
Anche se Baunei si apre sempre di più a valorizzare turisticamente le sue coste, rimane il netto profilo montano del borgo principale, segnato dall'essere stato per secoli un paese di pastori e caprai. Nel particolare e ripido centro storico spicca la chiesa parrocchiale dedicata a san Nicola di Bari, il cui impianto seicentesco è stato rimaneggiato nel corso del XX secolo. La chiesa è caratterizzata da una copertura a cupola e da un portale ornato, separato dal corpo centrale con funzioni di finta facciata.

Complesso nuragico di Sos Nurattolos

Il complesso nuragico di Sos Nurattolos è un sito archeologico sito nel comune di Alà dei Sardi[1], in provincia di Sassari.

Storia e descrizione

Databile tra il 1600 e il 900 a.C., è costituito da quattro edifici: una fonte sacra, un piccolo tempio a megaron e alcune capanne.
La fonte sacra, situata all’interno di un cortile circolare di forma irregolare dotato di accesso laterale a gradini, ha una pianta rettangolare con facciata in antis, e il vano del pozzo circolare conserva la copertura a tholos ancora intatta, mentre il retro è absidato[1]. All’interno del cortile una capanna circolare in muratura, probabilmente un locale di servizio dedicato alle attività cultuali. Al centro si trova il pozzo, dove i pellegrini, prima di continuare il percorso, si purificavano.
Il secondo edificio è il tempio a megaron, dove si trova una grande capanna circolare dotata anch’essa di un vano rettangolare di ingresso prospiciente la camera[1]. Qui il pellegrino sostava forse per un colloquio con i sacerdoti.
Sulla cima si trova il tempio, che conserva una regolarissima pianta rettangolare ed alte pareti aggettanti sia sulla facciata principale che sul retro. Il tempietto è circondato da un recinto ellittico che include una struttura muraria costituita da due ambienti circolari tangenti, uno dentro l’altro, forse i recinti in cui si chiudevano gli animali da sacrificare, o il luogo dove si consultavano gli oracoli: sembrerebbero simboleggiare la coppia divina Sole-Luna durante un’eclissi parziale di sole.

sabato 15 settembre 2018

Ingurtosu

Ingurtosu è una frazione del comune di Arbus, che dista circa 10 km dal capoluogo comunale e ha ospitato, insieme a Montevecchio, una delle più importanti miniere della Sardegna.

Storia

Oggi è un villaggio semidiroccato e quasi deserto ma in passato, quando fu abitato fino alla fine degli anni sessanta, era arrivato a ospitare quasi cinquemila persone, fungendo da centro direzionale della miniera di Ingurtosu e di quella vicina di Gennamari, che facevano parte entrambi del complesso minerario chiamato filone di Montevecchio, dal quale si estraevano piombozinco e argento.
La miniera, che aveva iniziato la sua attività estrattiva nel 1855, raggiunse la massima espansione all'inizio del XX secolo. La prima crisi, con il licenziamento di molti operai, si ebbe nel 1943. Nel dopoguerra l'attività riprese, ma il declino era ormai avviato e nel 1968 la miniera fu definitivamente chiusa.
Nel villaggio minerario vi si trovavano il palazzo della direzione, chiamato “Il castello”, costruito verso il 1870, in stile neomedievale, a imitazione di un palazzo tedesco, in posizione dominante rispetto al resto del complesso, che comprende abitazioni di impiegati, la chiesa, lo spaccio, la posta, il cimitero e persino un ospedale.

Argentiera

Fino agli anni sessanta era in funzione una miniera per l'estrazione di piombo e zinco e ferro con gran parte delle strutture in legno. L'attività estrattiva è cessata nel 1963. Attualmente tutti gli impianti e gran parte delle abitazioni costruite in un particolare stile con le pietre del luogo, sono in disuso ed in stato di abbandono.
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Porto Flavia

Porto Flavia è una infrastruttura di servizio dell'area mineraria di Masua, oggi non più operativa, situata della zona sud-occidentale della Sardegna e ricade amministrativamente nel comune di Iglesiasprovincia del Sud Sardegna, in quella che oggi è la località balneare di Masua. Pur essendo un sito minerario non si trattava di una miniera, bensì di un porto d'imbarco del materiale estratto dalle miniere vicine.
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Grotta di Su Mannau

La grotta di Su Mannau si trova nel territorio del comune di Fluminimaggiore nella Sardegna meridionale, in una zona facente parte di un ampio complesso carsico creatosi nel periodo Cambriano.
L'antro si snoda in due tronconi principali, su diversi livelli, originati da due corsi d'acqua sotterranei: il fiume Placido a sinistra e il fiume Rapido a destra. La lunghezza totale è di 8 chilometri ed il punto più alto è di 153 m. La parte visitabile è composta da numerose sale abbellite con concrezioni, stalattiti e stalagmiti (la più alta misura 11 metri), colonne che si innalzano fino a 15 m, cristalli di aragonite, laghi sotterranei.

Grotta delle Lumache

La grotta è sita sul fianco sud del Monte Rosmarino ad una quota di 220 metri s.l.m. a breve distanza dalla strada che conduce agli ex cantieri minerari di "Nanni Frau" e quindi vicinissimo al paese. L'imbocco è di piccole dimensioni ed è quasi inosservabile in lontananza. Esso dà adito dopo una discesa inclinata di 30 gradi su cono detritico di circa 25 metri ad un primo vasto ambiente di circa 700 metri quadri con un'altezza media di 15 metri . In direzione SW la cavità è occlusa da potenti colate alabastrine, depositi che stanno a testimoniare l'ormai fase fossile della grotta. In direzione NE è ovvia la prosecuzione, sempre con dimensioni molto vaste, si giunge ad un repentino cambiamento di direzione. Lo sviluppo si imposta decisamente in direzione SE, sulla volta, alta circa 20 metri, si nota la frattura generatrice della parte più vistosa della grotta. Questa porzione costituita da una serie di vasti ambienti impostati nella suddetta direzione, in costante salita (circa 20 gradi) dove i fenomeni di concrezionamento sono i veri padroni del contesto.
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Civiltà Nuragica

La civiltà nuragica nacque e si sviluppò in Sardegna, abbracciando un periodo di tempo che va dalla piena età del bronzo (1800 a.C.) al II secolo a.C., ormai in epoca romana.[1]
Fu il frutto della graduale evoluzione di preesistenti culture già diffuse sull'Isola sin dal neolitico, le cui tracce più evidenti giunte sino a noi sono costituite da dolmenmenhir e domus de janas[2], a cui si aggiunsero i nuovi stimoli e apporti culturali dell'età dei metalli.
Deve il suo nome ai nuraghi, imponenti costruzioni megalitiche considerate le sue vestigia più eloquenti e sulla cui effettiva funzione si discute da almeno cinque secoli.
Durante la sua storia millenaria ha avuto continui scambi culturali e commerciali con le più importanti civiltà mediterranee coeve ma nel corso del V secolo a.C., l'entrata in conflitto con l'imperialismo cartaginese prima, e quello romano poi ne decretò il declino.[3]
Oltre alle caratteristiche costruzioni nuragiche, la civiltà degli antichi sardi ha prodotto altri monumenti come i caratteristici templi dell'acqua sacra, le tombe dei giganti, le enigmatiche sculture in arenaria di Mont'e Prama e delle particolari statuine in bronzo.

Le origini

Anticamente i geografi e gli storici greci tentarono di risolvere l'enigma dei misteriosi popoli costruttori di nuraghi. Per loro la Sardegna era la più grande isola del Mediterraneo (in realtà è la seconda) e la descrivevano come una terra felice e libera, dove fioriva una civiltà ricca e raffinata e dall'agricoltura fiorentissima.

Nei loro resoconti i Greci parlarono di edifici favolosi che battezzarono daidaleia, dal nome del loro leggendario architetto Dedalo. Secondo una leggenda fu lui a concepire il famoso labirinto del re Minosse a Creta, prima di sbarcare in Sicilia e trasferirsi successivamente in Sardegna, accompagnato da un gruppo di coloni.

Pseudo Aristotele racconta: «Si dice che nell'isola di Sardegna si trovano edifici modellati secondo l'antica tradizione ellenica, e molti altri splendidi edifici, e delle costruzioni con volta a cupola con straordinario rapporto delle proporzioni. Si ritiene che queste opere siano state innalzate da Iolao figlio di Ificle nel tempo in cui, portando con sé i Tespiadi figli di Eracle, trasferì la colonia per condurla via dai loro luoghi di origine verso quelle contrade, poiché procurava queste per il parentado di Eracle, al quale qualunque terra fosse situata verso Occidente riteneva gli appartenesse [...] ». Racconta poi che la Sardegna sia stata in tempi lontani, prospera e dispensatrice di ogni prodotto e che Aristeo: «...ai suoi tempi era stato il più esperto fra gli uomini nell'arte di coltivare i campi, fosse il signore in questi luoghi; prima di Aristeo questi luoghi erano occupati da molti e grandi uccelli...».
Diodoro Siculo riporta le origini al mito di Eracle e dice: «Quando ebbe portato a termine le imprese, poiché secondo l'oracolo del dio era opportuno che prima di passare fra gli dei inviasse una colonia in Sardegna e ne mettesse a capo i figli che aveva avuto dalle Tespiadi, Eracle decise di spedire, con i fanciulli, suo nipote Iolao, poiché erano tutti molto giovani».

Domus de janas

Le domus de janas sono delle strutture sepolcrali preistoriche costituite da tombe scavate nella roccia tipiche della Sardegna prenuragica. Si trovano sia isolate che in grandi concentrazioni costituite anche da più di 40 tombe. A partire dal Neolitico recente fino all'Età del Bronzo antico, queste strutture caratterizzarono tutte le zone dell'isola. Ne sono state scoperte più di 2.400, circa una ogni chilometro quadrato, e molte rimangono ancora da scavare. Sono sovente collegate tra loro a formare delle vere e proprie necropoli sotterranee, con in comune un corridoio d'accesso (dromos) ed un'anticella, a volte assai spaziosa e dal soffitto alto.
In italiano il termine in lingua sarda domus de janas è stato tradotto in "case delle fate". Nel dialetto delle zone interne dell'isola, dove il significato del termine non è ancora scomparso, per indicare un uomo o donna dal fisico minuto (la dimensione è circa quella di un bambino pre-adolescente) si dice " mi pàret un'òmine jànu " (mi sembra un uomo janu). Le domus de janas in altre zone dell'isola sono conosciute anche con il nome di forrusforreddus o concheddas.

Menhir

Le popolazioni prenuragiche disseminarono il territorio isolano di is perdas fittas (in italiano "le pietre fitte"), nome con il quale in lingua sarda vengono chiamati quei monoliti altrove conosciuti come menhir (dal bretone men e hir ossia "lunga pietra").

Si trovano disposti in allineamenti rettilinei, talvolta in forma circolare, spesso anche isolati, sempre con funzione sacrale, e trovano confronti con altre manifestazioni del megalitismo europeo in particolare con quello inglese e francese.

Di difficile datazione e di chiara simbologia fallica, molti di essi sono privi di incisioni, ossia aniconici, ma in alcune località, come a Laconi, furono decorati e scolpiti con veri e propri corredi di armi e con singolari rilievi del volto a forma di T, ossia con un unico disegno a descrivere naso e sopracciglia, senza occhi né bocca.

Lo studioso Enrico Atzeni divide i menhir sardi in tre categorie sulla base di specifici attributi figurativi:

menhir protoantropomorfi, di forma ogivale e a faccia piana, modellati con accurata fine martellinatura;
menhir antropomorfi, con primi elementari tratteggi del viso;
statue-menhir, quelli con schematici rilievi del volto a T, con naso e sopracciglia in un unico blocco.

I menhir sono sempre riferiti al periodo prenuragico di cui costituiscono una eloquente testimonianza, e - secondo lo studioso Enrico Atzeni - documentano il complesso sistema etico-religioso esistente durante l'evoluzione economica caratterizzata dalla metallurgia del rame, con il sopravvento nelle società isolane di nuove gerarchie sociali a sfondo ideologico patriarcale, rappresentando is perdas fittas, figure di divinità maschili e femminili, forse di antenati, capi, eroi e guerrieri o altri mitici personaggi di rango.

Origine

Le prime avvisaglie del fenomeno del Megalitismo in Sardegna sono riferibili al Neolitico medio-recente, conosciuto anche come proto-megalitismo; le ricerche fatte dagli studiosi dimostrano come esso sia strettamente legato al megalitismo dell'area pirenaica.

Giganti di Mont'e Prama

Giganti di Mont'e Prama (Sos gigantes de Monti Prama in lingua sarda[1][2][3]) sono sculture nuragiche a tutto tondo. Spezzate in numerosi frammenti, sono state trovate casualmente in un campo nel marzo del 1974 in località Mont'e Prama nel Sinis di Cabras, nella Sardegna centro-occidentale; le statue sono scolpite in arenaria gessosa locale e la loro altezza varia tra i 2 e i 2,5 metri; raffigurano arcieri, spadaccini, lottatori.
Tale sito oltre ad essere attorniato da numerose vestigia nuragiche (villaggi, Nuraghi), potrebbe risultare essere l'emergenza di un più vasto insediamento; le prospezioni geofisiche permesse dall'utilizzo di un georadar di avanzata concezione hanno consentito di individuare altre numerose tombe, forse altri giacimenti di statue, nonché altre strutture probabilmente templari: ad oggi tali nuove evidenze non sono state ancora indagate.
Insieme con statue e modelli di nuraghe furono trovati anche diversi betili del tipo "oragiana",[4] in genere pertinenti a una o più tombe dei giganti.[5]
Le statue furono trovate in connessione ad una vasta Necropoli, nella quale furono sepolti in postura assisa dei giovani individui, quasi tutti forse di sesso maschile e dalla muscolatura molto sviluppata, fatto che, in connessione alla iconologia della statuaria ne sottolinea l'appartenenza al ceto dei guerrieri o comunque degli aristocratici; le più antiche sepolture contengono reperti ceramici collocati dagli studiosi nel Bronzo Recente 1300 a.C.-1200 a.C.; gli indizi antropologici e genetici ricavati dai resti osteologici indiziano l'origine autoctona e nuragica dei guerrieri inumati.
Dopo quattro campagne di scavo fra il 1975 e il 1979, i 5.178 frammenti rinvenuti – tra i quali 15 teste, 27 busti, 176 frammenti di braccia, 143 frammenti di gambe, 784 frammenti di scudo – vennero custoditi nei magazzini del Museo archeologico nazionale di Cagliari per trent'anni; solo alcuni dei primi frammenti vennero esposti in un sottoscala del Museo di Cagliari; in generale la scoperta fu trascurata per decenni, come asserì anche Lilliu.[6]
Con lo stanziamento dei fondi nel 2005 da parte del Ministero per i beni e le attività culturali e della Regione Sardegna, le statue sono state ricomposte dai restauratori del C.C.A. (Centro di Conservazione Archeologica di Roma), coordinati dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro, in collaborazione con quella per le province di Cagliari e Oristano, presso i locali del Centro di restauro e conservazione dei beni culturali di Li Punti a Sassari.
Le sculture ricomposte in seguito al restauro sono risultate in totale trentotto: cinque arcieri, quattro non definiti , sedici pugilatori, tredici modelli di nuraghe; tuttavia le nuove campagne di scavo hanno portato alla scoperta di nuovi esemplari.
A seconda delle ipotesi, la datazione dei Kolossoi – nome con il quale li chiamava l'archeologo Giovanni Lilliu – oscilla dal IX secolo a.C. o addirittura all'XIII secolo a.C., ipotesi che potrebbero farne fra le più antiche statue a tutto tondo del bacino mediterraneo, in quanto antecedenti ai kouroi della Grecia antica, dopo le sculture egizie.

Nuraghe Arrubiu

Il nuraghe Arrubiu (nuraghe rosso in sardo) è un complesso nuragico situato nel territorio del comune di Orroli nella provincia del Sud Sardegna. Deve il suo nome alla caratteristica colorazione rossa dovuta ai licheni che lo ricoprono e risulta essere il più grande e complesso nuraghe della Sardegna e tra i maggiori monumenti protostorici di tutto l'occidente europeo.

Il nuraghe

Il complesso nuragico risale al 1500 a.C. circa, il suo crollo è stato datato al IX secolo a.C. per cause ancora non certe e rimase disabitato fino al 100 a.C. quando arrivarono i Romani. È l'unico nuraghe pentalobato presente in Sardegna, nonché uno tra i maggiori, costituito da una torre centrale circondata da altre cinque torri attorno alle quali si trova un antemurale (cinta esterna), con ulteriori sette torri che compongono un'altra cinta muraria difensiva, la quale racchiude diversi cortili intorno al bastione. È presente poi una seconda cortina muraria esterna con cinque torri ed una terza cortina con altre tre torri, non raccordate con quelle precedenti. Il numero totale delle torri è ventuno. Complessivamente copriva una superficie superiore a 5000 m².

Monte d'Accoddi (Dea Madre)

Monte d'Accoddi, talvolta scritto Akkoddi, è un importante sito archeologico, attribuito alla Cultura di Abealzu-Filigosa, della Sardegna prenuragica. Per la concentrazione di differenti tipologie costruttive, il monumento è a tutt'oggi considerato unico non solo in Europa ma nell'intero bacino del Mediterraneo, tanto singolare da essere accomunato morfologicamente a una ziqquratmesopotamica.
Monte d'Accoddi è situato nella Nurra, regione della Sardegna nord-occidentale, e più precisamente nel comune di Sassari, in prossimità del vecchio tracciato della Strada statale 131 Carlo Felice, in direzione di Porto Torres, nel terreno in origine di proprietà della famiglia Segni.
Il monumento, unico nel bacino del Mediterraneo, faceva parte di un complesso di epoca prenuragica, sviluppatosi sul pianoro a partire dalla seconda metà del IV millennio a.C. e preceduto da tracce di frequentazione riferibili al neolitico medio.
In una prima fase si insediarono nella zona diversi villaggi di capanne quadrangolari, appartenenti alla cultura di Ozieri, ai quali si riferisce una necropoli con tombe ipogeiche a domus de janas e un probabile santuario con menhir, lastre di pietra per sacrifici e sfere di pietra.

Stele di Boeli

La Stele di Boeli di Mamoiada (detta “Sa Perda Pintà” La pietra incisa, in sardo) è una lastra di granito incisa scoperta centro Sardegna. Questa grande lastra, nota come Stele di Boeli dal nome della zona dove è stato trovato, misura m. 2.67x2,10x0,57 circa. Caratteristica di questo reperto (e di altre due lastre più piccole ritrovate in diversi siti) è la presenza di una serie di coppelle e di incisioni concentriche che li rendono unici in Sardegna e di importanza europea per l'iconografia, simile ad analoghe pietre trovate nell'area dei CeltiScoziaIrlandaGalles e Bretagna.
Questa stele è collocata all'interno di un cortile alla periferia di Mamoiada dove fu casualmente rinvenuta nel 1997 nel corso dei lavori di costruzione di una casa. 

Sorgente di Elighes Uttiosos



Il territorio di Santu Lussurgiu è ricco di sorgenti e corsi d'acqua. Le sorgenti più conosciute sono sicuramente quelle di San Leonardo de Siete Fuentes l'acqua delle quali è anche imbottigliata.
Quasi alla sommità del Montiferru, alla quota di circa 1000 metri si trova la sorgente di Elighes Uttiosos dove dalle radici di lecci secolari sgorga la fresca acqua di sorgente, il nome significa infatti "lecci gocciolanti".
All'interno del paese, oltre a varie fontanelle e zampilli sparsi, troviamo la fontana di Su Sauccu sita proprio su un tornante della strada principale, il viale Azuni.
Sulla strada provinciale che porta a Cuglieri, a 2,5 km dall'abitato si trova la fontana de Sa Preda Lada sormontata da un Madonna votiva. La sorgente omonima, poco più a monte, origina il rio Preda Lada che è il tratto più a monte del riu di Mare Foghe[4] che va ad alimentare lo stagno di Cabras.
Proseguendo sulla stessa strada, a circa 800 metri di quota, in un tratto pianeggiante della via, si trova la sorgente di Silvanis, nascosta nella fitta vegetazione di agrifogli e lecci.
Lungo la strada di penetrazione agraria che si collega alla strada provinciale 15, leggermente addentrata nella vegetazione, si trova la fontana de Sos Crabalzos le cui acque si gettano nel riu Bau 'e Mela. Il suo nome poco più a valle diventa riu Sos Molinos e, scorrendo verso la pianura, alimentato da numerosi affluenti di modesta portata, va a formare il riu Mannu di Milis che infine sfocia nel riu di Mare Foghe.
Sono vari i corsi d'acqua che solcano il territorio alimentati dalle numerose sorgenti. Costituirono da sempre una grande ricchezza prima nell'allevamento e nell'agricoltura poi nella fiorente attività pre industriale delle macchine alimentate dalla potenza dei torrenti che fecero di Santu Lussurgiu una ricca comunità.
Alle pendici della cima Rocca de sa Pattada nasce il fiume Riu Mannu che, percorrendo una sorta di semicerchio di 28 km di lunghezza attraverso il tavolato vulcanico a ovest del Montiferru, sfocia in mare a punta Foghe.

Rocce Montiferru

Il Montiferru è una subregione della Sardegna centro-occidentale, che prende il nome dal massiccio di origine vulcanica omonimo. La massima elevazione è quella del monte Urtigu (1050 m s.l.m.)

Origine

Osservando il paesaggio si notano le scure rocce del basalto, la grigia trachite, la riolite e l'andesite, testimonianza di un lontano e turbolento passato geologico.
Il territorio della subregione era l'avanguardia di uno dei blocchi principali della placca tettonica sardo-corsa, un tempo unita all'Europa continentale (come testimoniano le evidenti analogie petrografiche e strutturali col Massiccio Centrale francese) e dalla quale ha cominciato a staccarsi 30 milioni di anni fa ruotando verso sud-est di circa 300 km.
L'attività vulcanica conseguente, unita alla concomitante pressione legata all'orogenesi alpina provocò in uno spazio limitato cospicui sollevamenti di alcune zone del blocco e relativa subsidenza di zone contigue, con intense eruzioni anche di tipo esplosivo, caratterizzate da nubi ardenti, principali responsabili della generazione di rocce quali l'ignimbrite, nome che significa letteralmente "pioggia di fuoco".
Autore Foto Ignazio Attene

venerdì 14 settembre 2018

Cavallo Anglo-arabo sardo

L’Anglo-arabo sardo è una razza equina allevata in Sardegna da oltre un secolo. Un grosso contributo alla formazione della razza, lo si deve all'istituzione nel 1874 del "Regio deposito stalloni" di Ozieri. La razza fu creata per le esigenze dell'arma di Cavalleria dell'Esercito Sabaudo. L'esercito cominciò ad incrociare i cavalli indigeni sardi, di piccole dimensioni (Cavallo del SarcidanoCavallino della Giara), con stalloni Arabi, importati dal deserto siriano. Questi derivati arabi risultarono però di statura insufficiente e quindi, ai primi del Novecento, si utilizzarono dapprima stalloni Anglo-arabi francesi e poi Purosangue inglesi, ottenendo, finalmente, cavalli adeguati alla Cavalleria. I militari condussero molte prove di velocità e resistenza in cui questa razza diede risultati stupefacenti, essendo in grado di percorrere distanze di 100 km al giorno, per un paio di giorni, con un'adeguata preparazione del cavallo e con congrue soste tra una tappa e l'altra.
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