Sardegna

Situata nel Mediterraneo occidentale, la Sardegna è stata sin dagli albori della civiltà un attracco assiduamente frequentato da quanti navigavano da una sponda all'altra del Mediterraneo in cerca di materie prime e di nuovi sbocchi commerciali.

Menhir

Dei monoliti di forma allungata di grandi dimensioni conficcati verticalmente nel terreno e spesso organizzati in lunghi allineamenti o distribuiti in singoli elementi. In lingua sarda vengono comunemente chiamati "perdas litteradas", ovvero "pietre letterate".

Nuraghe

Il nuraghe è un tipo di costruzione in pietra di forma tronco conica presente con diversa densità su tutto il territorio della Sardegna. Sono unici nel loro genere e rappresentativi della civiltà nuragica.

Civiltà Nuragica

La Civiltà nuragica ebbe origine durante la fase culturale detta di Bonnanaro (1800-1600 a.C. circa), imparentata con la precedente cultura del vaso campaniforme e con quella di Polada, e secondo le ricerche degli studiosi fu il frutto dell'evoluzione delle preesistenti culture megalitiche.

Domus de janas

Le domus de janas sono delle strutture sepolcrali preistoriche costituite da tombe scavate nella roccia tipiche della Sardegna prenuragica. Si trovano sia isolate che in grandi concentrazioni costituite anche da più di 40 tombe. A partire dal Neolitico recente fino all'Età del Bronzo antico, queste strutture caratterizzarono tutte le zone dell'isola.

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lunedì 17 settembre 2018

Complesso nuragico di Sos Nurattolos

Il complesso nuragico di Sos Nurattolos è un sito archeologico sito nel comune di Alà dei Sardi[1], in provincia di Sassari.

Storia e descrizione

Databile tra il 1600 e il 900 a.C., è costituito da quattro edifici: una fonte sacra, un piccolo tempio a megaron e alcune capanne.
La fonte sacra, situata all’interno di un cortile circolare di forma irregolare dotato di accesso laterale a gradini, ha una pianta rettangolare con facciata in antis, e il vano del pozzo circolare conserva la copertura a tholos ancora intatta, mentre il retro è absidato[1]. All’interno del cortile una capanna circolare in muratura, probabilmente un locale di servizio dedicato alle attività cultuali. Al centro si trova il pozzo, dove i pellegrini, prima di continuare il percorso, si purificavano.
Il secondo edificio è il tempio a megaron, dove si trova una grande capanna circolare dotata anch’essa di un vano rettangolare di ingresso prospiciente la camera[1]. Qui il pellegrino sostava forse per un colloquio con i sacerdoti.
Sulla cima si trova il tempio, che conserva una regolarissima pianta rettangolare ed alte pareti aggettanti sia sulla facciata principale che sul retro. Il tempietto è circondato da un recinto ellittico che include una struttura muraria costituita da due ambienti circolari tangenti, uno dentro l’altro, forse i recinti in cui si chiudevano gli animali da sacrificare, o il luogo dove si consultavano gli oracoli: sembrerebbero simboleggiare la coppia divina Sole-Luna durante un’eclissi parziale di sole.

sabato 15 settembre 2018

Domus de janas

Le domus de janas sono delle strutture sepolcrali preistoriche costituite da tombe scavate nella roccia tipiche della Sardegna prenuragica. Si trovano sia isolate che in grandi concentrazioni costituite anche da più di 40 tombe. A partire dal Neolitico recente fino all'Età del Bronzo antico, queste strutture caratterizzarono tutte le zone dell'isola. Ne sono state scoperte più di 2.400, circa una ogni chilometro quadrato, e molte rimangono ancora da scavare. Sono sovente collegate tra loro a formare delle vere e proprie necropoli sotterranee, con in comune un corridoio d'accesso (dromos) ed un'anticella, a volte assai spaziosa e dal soffitto alto.
In italiano il termine in lingua sarda domus de janas è stato tradotto in "case delle fate". Nel dialetto delle zone interne dell'isola, dove il significato del termine non è ancora scomparso, per indicare un uomo o donna dal fisico minuto (la dimensione è circa quella di un bambino pre-adolescente) si dice " mi pàret un'òmine jànu " (mi sembra un uomo janu). Le domus de janas in altre zone dell'isola sono conosciute anche con il nome di forrusforreddus o concheddas.

Menhir

Le popolazioni prenuragiche disseminarono il territorio isolano di is perdas fittas (in italiano "le pietre fitte"), nome con il quale in lingua sarda vengono chiamati quei monoliti altrove conosciuti come menhir (dal bretone men e hir ossia "lunga pietra").

Si trovano disposti in allineamenti rettilinei, talvolta in forma circolare, spesso anche isolati, sempre con funzione sacrale, e trovano confronti con altre manifestazioni del megalitismo europeo in particolare con quello inglese e francese.

Di difficile datazione e di chiara simbologia fallica, molti di essi sono privi di incisioni, ossia aniconici, ma in alcune località, come a Laconi, furono decorati e scolpiti con veri e propri corredi di armi e con singolari rilievi del volto a forma di T, ossia con un unico disegno a descrivere naso e sopracciglia, senza occhi né bocca.

Lo studioso Enrico Atzeni divide i menhir sardi in tre categorie sulla base di specifici attributi figurativi:

menhir protoantropomorfi, di forma ogivale e a faccia piana, modellati con accurata fine martellinatura;
menhir antropomorfi, con primi elementari tratteggi del viso;
statue-menhir, quelli con schematici rilievi del volto a T, con naso e sopracciglia in un unico blocco.

I menhir sono sempre riferiti al periodo prenuragico di cui costituiscono una eloquente testimonianza, e - secondo lo studioso Enrico Atzeni - documentano il complesso sistema etico-religioso esistente durante l'evoluzione economica caratterizzata dalla metallurgia del rame, con il sopravvento nelle società isolane di nuove gerarchie sociali a sfondo ideologico patriarcale, rappresentando is perdas fittas, figure di divinità maschili e femminili, forse di antenati, capi, eroi e guerrieri o altri mitici personaggi di rango.

Origine

Le prime avvisaglie del fenomeno del Megalitismo in Sardegna sono riferibili al Neolitico medio-recente, conosciuto anche come proto-megalitismo; le ricerche fatte dagli studiosi dimostrano come esso sia strettamente legato al megalitismo dell'area pirenaica.

Giganti di Mont'e Prama

Giganti di Mont'e Prama (Sos gigantes de Monti Prama in lingua sarda[1][2][3]) sono sculture nuragiche a tutto tondo. Spezzate in numerosi frammenti, sono state trovate casualmente in un campo nel marzo del 1974 in località Mont'e Prama nel Sinis di Cabras, nella Sardegna centro-occidentale; le statue sono scolpite in arenaria gessosa locale e la loro altezza varia tra i 2 e i 2,5 metri; raffigurano arcieri, spadaccini, lottatori.
Tale sito oltre ad essere attorniato da numerose vestigia nuragiche (villaggi, Nuraghi), potrebbe risultare essere l'emergenza di un più vasto insediamento; le prospezioni geofisiche permesse dall'utilizzo di un georadar di avanzata concezione hanno consentito di individuare altre numerose tombe, forse altri giacimenti di statue, nonché altre strutture probabilmente templari: ad oggi tali nuove evidenze non sono state ancora indagate.
Insieme con statue e modelli di nuraghe furono trovati anche diversi betili del tipo "oragiana",[4] in genere pertinenti a una o più tombe dei giganti.[5]
Le statue furono trovate in connessione ad una vasta Necropoli, nella quale furono sepolti in postura assisa dei giovani individui, quasi tutti forse di sesso maschile e dalla muscolatura molto sviluppata, fatto che, in connessione alla iconologia della statuaria ne sottolinea l'appartenenza al ceto dei guerrieri o comunque degli aristocratici; le più antiche sepolture contengono reperti ceramici collocati dagli studiosi nel Bronzo Recente 1300 a.C.-1200 a.C.; gli indizi antropologici e genetici ricavati dai resti osteologici indiziano l'origine autoctona e nuragica dei guerrieri inumati.
Dopo quattro campagne di scavo fra il 1975 e il 1979, i 5.178 frammenti rinvenuti – tra i quali 15 teste, 27 busti, 176 frammenti di braccia, 143 frammenti di gambe, 784 frammenti di scudo – vennero custoditi nei magazzini del Museo archeologico nazionale di Cagliari per trent'anni; solo alcuni dei primi frammenti vennero esposti in un sottoscala del Museo di Cagliari; in generale la scoperta fu trascurata per decenni, come asserì anche Lilliu.[6]
Con lo stanziamento dei fondi nel 2005 da parte del Ministero per i beni e le attività culturali e della Regione Sardegna, le statue sono state ricomposte dai restauratori del C.C.A. (Centro di Conservazione Archeologica di Roma), coordinati dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro, in collaborazione con quella per le province di Cagliari e Oristano, presso i locali del Centro di restauro e conservazione dei beni culturali di Li Punti a Sassari.
Le sculture ricomposte in seguito al restauro sono risultate in totale trentotto: cinque arcieri, quattro non definiti , sedici pugilatori, tredici modelli di nuraghe; tuttavia le nuove campagne di scavo hanno portato alla scoperta di nuovi esemplari.
A seconda delle ipotesi, la datazione dei Kolossoi – nome con il quale li chiamava l'archeologo Giovanni Lilliu – oscilla dal IX secolo a.C. o addirittura all'XIII secolo a.C., ipotesi che potrebbero farne fra le più antiche statue a tutto tondo del bacino mediterraneo, in quanto antecedenti ai kouroi della Grecia antica, dopo le sculture egizie.

Nuraghe Arrubiu

Il nuraghe Arrubiu (nuraghe rosso in sardo) è un complesso nuragico situato nel territorio del comune di Orroli nella provincia del Sud Sardegna. Deve il suo nome alla caratteristica colorazione rossa dovuta ai licheni che lo ricoprono e risulta essere il più grande e complesso nuraghe della Sardegna e tra i maggiori monumenti protostorici di tutto l'occidente europeo.

Il nuraghe

Il complesso nuragico risale al 1500 a.C. circa, il suo crollo è stato datato al IX secolo a.C. per cause ancora non certe e rimase disabitato fino al 100 a.C. quando arrivarono i Romani. È l'unico nuraghe pentalobato presente in Sardegna, nonché uno tra i maggiori, costituito da una torre centrale circondata da altre cinque torri attorno alle quali si trova un antemurale (cinta esterna), con ulteriori sette torri che compongono un'altra cinta muraria difensiva, la quale racchiude diversi cortili intorno al bastione. È presente poi una seconda cortina muraria esterna con cinque torri ed una terza cortina con altre tre torri, non raccordate con quelle precedenti. Il numero totale delle torri è ventuno. Complessivamente copriva una superficie superiore a 5000 m².

Monte d'Accoddi (Dea Madre)

Monte d'Accoddi, talvolta scritto Akkoddi, è un importante sito archeologico, attribuito alla Cultura di Abealzu-Filigosa, della Sardegna prenuragica. Per la concentrazione di differenti tipologie costruttive, il monumento è a tutt'oggi considerato unico non solo in Europa ma nell'intero bacino del Mediterraneo, tanto singolare da essere accomunato morfologicamente a una ziqquratmesopotamica.
Monte d'Accoddi è situato nella Nurra, regione della Sardegna nord-occidentale, e più precisamente nel comune di Sassari, in prossimità del vecchio tracciato della Strada statale 131 Carlo Felice, in direzione di Porto Torres, nel terreno in origine di proprietà della famiglia Segni.
Il monumento, unico nel bacino del Mediterraneo, faceva parte di un complesso di epoca prenuragica, sviluppatosi sul pianoro a partire dalla seconda metà del IV millennio a.C. e preceduto da tracce di frequentazione riferibili al neolitico medio.
In una prima fase si insediarono nella zona diversi villaggi di capanne quadrangolari, appartenenti alla cultura di Ozieri, ai quali si riferisce una necropoli con tombe ipogeiche a domus de janas e un probabile santuario con menhir, lastre di pietra per sacrifici e sfere di pietra.

Stele di Boeli

La Stele di Boeli di Mamoiada (detta “Sa Perda Pintà” La pietra incisa, in sardo) è una lastra di granito incisa scoperta centro Sardegna. Questa grande lastra, nota come Stele di Boeli dal nome della zona dove è stato trovato, misura m. 2.67x2,10x0,57 circa. Caratteristica di questo reperto (e di altre due lastre più piccole ritrovate in diversi siti) è la presenza di una serie di coppelle e di incisioni concentriche che li rendono unici in Sardegna e di importanza europea per l'iconografia, simile ad analoghe pietre trovate nell'area dei CeltiScoziaIrlandaGalles e Bretagna.
Questa stele è collocata all'interno di un cortile alla periferia di Mamoiada dove fu casualmente rinvenuta nel 1997 nel corso dei lavori di costruzione di una casa. 

Rocce Montiferru

Il Montiferru è una subregione della Sardegna centro-occidentale, che prende il nome dal massiccio di origine vulcanica omonimo. La massima elevazione è quella del monte Urtigu (1050 m s.l.m.)

Origine

Osservando il paesaggio si notano le scure rocce del basalto, la grigia trachite, la riolite e l'andesite, testimonianza di un lontano e turbolento passato geologico.
Il territorio della subregione era l'avanguardia di uno dei blocchi principali della placca tettonica sardo-corsa, un tempo unita all'Europa continentale (come testimoniano le evidenti analogie petrografiche e strutturali col Massiccio Centrale francese) e dalla quale ha cominciato a staccarsi 30 milioni di anni fa ruotando verso sud-est di circa 300 km.
L'attività vulcanica conseguente, unita alla concomitante pressione legata all'orogenesi alpina provocò in uno spazio limitato cospicui sollevamenti di alcune zone del blocco e relativa subsidenza di zone contigue, con intense eruzioni anche di tipo esplosivo, caratterizzate da nubi ardenti, principali responsabili della generazione di rocce quali l'ignimbrite, nome che significa letteralmente "pioggia di fuoco".
Autore Foto Ignazio Attene

venerdì 14 settembre 2018

Foresta pietrificata di Martis

Una foresta fossile costituisce un giacimento fossilifero di grande interesse e rarità, poiché rappresenta un caso di conservazione completa nel sito dove gli alberi sono cresciuti.

Origine


Il termine foresta, che potrebbe sembrare improprio, deriva dal fatto che i tronchi si possono trovare in posizione eretta, con il loro apparato radicale piantato nel paleosuolo, e il legno spesso ha conservate intatte le caratteristiche morfologiche. Affinché possa avvenire una conservazione allo stato fossile di parte di una foresta deve esserci la coincidenza di una serie di fattori favorevoli:

subsidenza della zona che elimini o riduca l'erodibilità della zona e favorisca la sedimentazione
sommersione dell'area da parte di acque creando un ambiente prevalentemente anaerobico che impedisca l'ossidazione della materia organica e quindi la sua rapida distruzione
veloce deposizione di sedimenti clastici fini (da argille a sabbie argillose, quindi poco permeabili) che seppelliscono e quindi "sigillano" e preservano i tronchi da ulteriori degradazioni.
Spesso durante la diagenesi, se sono presenti fluidi circolanti ricchi in silice, avviene il fenomeno della silicizzazione del materiale ligneo.

Complesso archeologico di Pranu Muttedu


Il complesso archeologico di Pranu Muttedu è una delle più importanti aree funerarie della Sardegna prenuragica ed è situato nei pressi di Goni, piccolo centro abitato nella provincia del Sud Sardegna. L'area del parco ha un'estensione di circa 200.000 metri quadrati. Il complesso presenta la più alta concentrazione di menhir e megaliti che si conosca in Sardegna (circa sessanta, variamente distribuiti in coppie, allineamenti o gruppi).
Nell'area è inoltre presente una necropoli ipogeica a domus de janas con tre circoli tombali.
Il complesso è stato oggetto di scavo da parte di Enrico Atzeni, in più riprese a partire dal 1980.
È soprannominata la "Stonehenge italiana"[senza fonte] con una caratteristica fondamentale, quella di essere più antica della Stonehenge inglese.

Pozzo Sacro di Santa Cristina





Il santuario nuragico di Santa Cristina è un'area archeologica situata nel territorio del comune di Paulilatino, in provincia di Oristano, nella Sardegna centro-occidentale e nella parte meridionale dell'altopiano di Abbasanta. La località prende il nome dalla chiesa campestre di Santa Cristina che si trova nelle sue vicinanze.
Il sito si compone essenzialmente di due parti: la prima, quella più conosciuta e studiata, costituita dal tempio a pozzo, un pozzo sacrorisalente all'età nuragica, con strutture ad esso annesse: capanna delle riunioni, recinto e altre capanne più piccole. La seconda parte del complesso a circa duecento metri a sud-ovest è costituita da un nuraghe monotorre, da alcune capanne in pietra di forma allungata di incerta datazione ed un villaggio nuragico, ancora da scavare, di cui sono visibili solo alcuni elementi affioranti[1]. Benché di limitato interesse archeologico integra il complesso l'area devozionale cristiana della chiesa e novenario di Santa Cristina inteso come il luogo nel quale si celebra la novena in onore della santa.

Storia

La prima menzione con rilievo grafico del monumento è di Giovanni Spano, padre dell'archeologia sarda, nel 1857.[7] Questi dà del pozzo sacro una descrizione piuttosto confusa, lo attribuisce correttamente alle strutture nuragiche, ma non riesce ad individuare la vera funzione dello stesso, ritenendolo, per similitudine con altri ritrovamenti, un carcere. Nel 1860 il Lamarmora nel suo Itinéraire in collaborazione con lo stesso Spano elogia il monumento e lo paragona «al famoso sotterraneo, detto il Tesoro di Atreo, a Micene, nella Grecia, descritto e figurato da Giacomo Stuart».[8] Dopo che molti altri pozzi vengono scoperti in Sardegna Antonio Taramelli archeologo della prima metà del Novecento ne intuisce finalmente la funzione.[9][10][11] Il suo lavoro viene completato da Raffaele Pettazzoni che nel suo libro sulle credenze degli antichi protosardi[12] descrive il culto delle acque facendo riferimento anche a confronti esterni all'isola.
Nonostante l'importanza del monumento ed il suo ottimo stato di conservazione occorre attendere il 1953 per i primi scavi ed i primi restauri, proseguiti poi con le campagne dell'Atzeni del 1967-73 e 1977-83.[13] Le più recenti campagne di scavo sono state condotte da Bernardini nel 1989-90 e da Arnold Lebeuf[14] tra il 2005 ed il 2010. Sono state programmate altre ricerche concentrate soprattutto nella zona del villaggio nuragico[1] (che però al 2012 non risultano ancora condotte).

Tharros

Tharros (in latino Tarrae, in greco antico Thàrras, Θάρρας) è un sito archeologico della provincia di Oristano, situato nel comune di Cabras, in Sardegna. La città si trova nella propaggine sud della penisola del Sinis che termina con il promontorio di capo San Marco. Nel 2016 l'area archeologica ha fatto registrare 105 738 visitatori.

Storia

Il toponimo, di origine protosarda, viene ricondotto ad una radice mediterranea *tarr- [2]. La stessa base si ritrova, ad esempio, nel toponimo Tarrài (Galtellì) o, fuori dall'isola, Tarracina (Lazio) o Tarraco (Hispania Citerior)[3].
La città fu fondata dai Fenici nell'VIII secolo a.C. nei pressi di un preesistente villaggio nuragico dell'età del bronzo[4]. Il villaggio protosardo di Su Muru Mannu, sopra il quale fu impiantato il tofet, venne abbandonato pacificamente dai suoi abitanti che, stando ai dati archeologici, collaborarono con i fenici alla costruzione del nuovo centro urbano[4].
Successivamente, sotto la dominazione cartaginese, la città venne fortificata e ampliata e conobbe un periodo di floridezza economica con l'intensificarsi dei rapporti commerciali con l'Africa, la penisola iberica e Massalia[4]. Tharros in epoca punica fu forse la capitale provinciale.
Conquistata da Roma nel 238 a.C., all'indomani della prima guerra punica, pochi decenni dopo (215 a.C.) fu uno degli epicentri della rivolta anti-romana capeggiata da Ampsicora. In età imperiale ci fu un intenso rinnovamento urbanistico con la costruzione delle terme, dell'acquedotto e la sistemazione della rete viaria con lastricato in basalto[5]. La città ottenne lo status di municipium di cittadini romani[6].
Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, Tharros, governata prima dai Vandali e poi dai Bizantini e vessata dalle incursioni saracene, entrò progressivamente in una profonda crisi che porto all'abbandono del sito intorno al 1050[5][7]. Prima del suo abbandono Tharros fu anche la capitale del giudicato di Arborea; la giudicessa Nibata o il giudice Orzocco I de Lacon-Zori trasferì ad Oristanola sede vescovile e l'intera popolazione tarrense. Celebre è il detto (riportato per la prima volta dal Mattei) "e sa cittad'e Tharros, portant sa perda a carros", letteralmente "dalla città di Tharros portano le pietre a carri (in grandi quantità, ndr)", a dimostrazione del fatto che Oristano venne fondata con i resti materiali dell'antica colonia fenicia.

Su Nuraxi

Su Nuraxi, o, più propriamente, il Villaggio nuragico di Su Nuraxi, è un insediamento umano risalente all'età nuragica che si trova in Sardegna, in territorio di Barumini. Cresciuto intorno a un nuraghe quadrilobato (cioè con un bastione di quattro torri angolari più una centrale) risalente al XVI-XIV secolo a.C., l'insediamento si è sviluppato tra il XIII ed il VI secolo a.C.. È uno dei villaggi nuragici più grandi della Sardegna.

Struttura del nuraghe

La struttura più antica del nuraghe è costituita da una torre centrale a tre camere sovrapposte (alta 18,60 m.), edificata tra il secolo XVII a.C. e il XIII a.C., in blocchi di basalto[3]. In seguito, nel periodo del Bronzo tardo, vennero edificate attorno alla torre centrale quattro torri unite tra loro da una cortina muraria con un ballatoio superiore (oggi andato perduto), comunicanti tutte su un cortile interno servito da un pozzo. In tempi più tardi, nell'Età del Ferro, il complesso venne attorniato da un ulteriore cortina muraria pentalobata. La differenza delle costruzioni indica che vi fosse una qualche gerarchia sociale. Le pareti erano in blocchi di pietra sovrapposti e non da un unico monolite. Le porte e le finestre erano per la prima volta utilizzabili, e le loro spalle leggermente inclinate in modo da ridurre l'entrata di luce e diminuire il rischio di rottura dell'architrave. Questi ultimi erano più spessi al centro e meno ai lati, a dimostrazione del fatto di aver capito che gli architravi si rompono al centro.